A proposito di geopolitica dei vaccini (e non solo)
Israele, l’accordo segreto di Netanyahu con Pfizer trasforma il Paese in un laboratorio
“Corriere della Sera” on line, 25 gennaio 2021
di Davide Frattini
GERUSALEMME — Nell’ufficio del primo ministro — dove ormai risiede da quasi dodici anni — Benjamin Netanyahu tiene i memorabilia da mostrare ai leader stranieri in visita a Gerusalemme. Sotto la teca di cristallo, assieme al modellino del sistema anti-missile Arrow, da qualche settimana il primo ministro ha collocato un’altra freccia: la siringa con cui gli è stata somministrata la prima dose di vaccino. La campagna di immunizzazione coincide con la campagna elettorale — il 23 marzo gli israeliani tornano a votare per la quarta volta in due anni — e il capo del governo vuole restare tale ripetendo ai comizi e nei corridoi degli ospedali che «Israele sarà il primo Paese a sconfiggere il Coronavirus».
Dal 20 di dicembre oltre 2 milioni e mezzo di persone sono stati inoculati e da ieri possono ricevere il vaccino anche i ragazzi tra i 16 e i 18 anni, l’obiettivo è coprire entro la fine di marzo i due terzi della popolazione (in totale 9,2 milioni) senza contare i più giovani. Le fiale che scarseggiano in Europa non sono mai mancate in Israele. In settembre il premier Netanyahu ha contattato di persona Albert Bourla, l’amministratore delegato di Pfizer, per farsi garantire la fornitura. Secondo alcune fonti, lo Stato ebraico ha pagato molto di più per accaparrarsi le dosi, fino al doppio di americani ed europei.
Soprattutto è emerso che il ministero della Sanità ha firmato con la casa farmaceutica un accordo di venti pagine e ha garantito di fornire tutti i risultati delle vaccinazioni, compresi i dettagli di ogni singola puntura fino al braccio di inoculazione. Un’intesa simile sarebbe stata finalizzata anche con Moderna. Aver trasformato Israele in un laboratorio su scala nazionale preoccupa le organizzazioni che lottano per la protezione della privacy: il governo assicura che a Pfizer vengono fornite solo statistiche generali, senza dati personali. «Questa enorme quantità di informazioni può essere hackerata. A quel punto nessuno potrebbe controllare nelle mani di chi finirebbe e potrebbe essere sfruttata in futuro dalle assicurazioni o dai datori di lavoro», spiega Tehilla Shwartz Altshuler, esperta dell’Israel Democracy Institute.