Mosca bianca

Riceviamo e diffondiamo:

Niente di nuovo sul fronte occidentale

Siamo ormai assuefatti alle notizie di guerra, che hanno occupato la maggior parte di giornali e telegiornali per alcuni mesi, per poi lasciare spazio alla crisi climatica, all’aumento delle bollette, alla caduta del governo, alle elezioni e alle difficili sfide che attendono la ministronza.

Mentre l’incessante propaganda di guerra impazza senza nessuna dignità, ci sono dei fatti che andrebbero segnalati e su cui vale la pena di spendere qualche parola.
Nelle ultime settimane si è assistito a un nuovo rialzo della tensione, o almeno è questa la percezione comune.

Negli stessi giorni in cui i carabinieri erano di guardia ai seggi della democratica italia, in cui funzionari dello stato, scortati dalla polizia, allestivano seggi particolari in carceri, ospedali e manicomi – nei posti cioè dove a persone rinchiuse era impossibilitato di recarsi liberamente al seggio – nel periodo in cui i giornali e i potentati economico-culturali di confindustria esprimevano indicazioni di voto alla popolazione nella solita stantia compravendita, diretta o indiretta, di piccoli privilegi in cambio di voti, in quegli stessi giorni la democraticissima stampa italiana esprimeva il proprio sdegno per l’inaccettabile svolgersi della farsa dei referendum sull’annessione del Donbass denunciando che l’orribile operazione antidemocratica si stava manifestando con militari che difendevano le urne e le forze dell’ordine che si erano assicurate che gli aventi diritto potessero votare anche se impossibilitati a muoversi.

Al di là della scelta di riconoscere o meno un’operazione “democratica” e di interpretare la volontà popolare sulla base di quello che il potere desidera che il popolo esprima, l’annessione dei territori di Donetsk e Lugansk rappresenta un nuovo possibile motivo di escalation in questa guerra. Per la Russia, un attacco da parte ucraina sarebbe ad oggi un’invasione, che giustificherebbe quindi una risposta senza quartiere, per l’Ucraina ha significato un acuirsi degli strepiti del ballerino guerrafondaio per un ingresso del “suo” paese nella NATO – che porterebbe all’immediato ingresso degli Stati Uniti (e dell’Italia, e della Turchia, e chi più ne ha più ne metta) in guerra.

A questo poi si è aggiunta, nelle ultime settimane, la vicenda dei sabotaggi ai gasdotti di Nordstream. Il 27 settembre scorso, delle esplosioni su due diversi gasdotti – Nordstream 1 e 2 – hanno di fatto reso inutilizzabili i tubi delle condutture che avrebbero potuto portare il metano dai giacimenti russi verso l’Europa. Diciamo avrebbero potuto, perché già da diverso tempo questa infrastruttura di costruzione russa e di capitale in gran parte europeo era fuori attività, contribuendo all’artificiale carenza di gas sul mercato. Le esplosioni sui due gasdotti in fondo al mare, prodotto evidente di un attacco militare, hanno reso nei fatti inutilizzabile la struttura, facendo aumentare nuovamente il costo delle risorse energetiche.
Aver colpito uno dei nodi giugulari dell’infrastruttura energetica mondiale ha, tra gli altri effetti, scatenato una pioggia di accuse reciproche tra i contendenti della guerra in Ucraina: la Russia accusa l’occidente di aver preso attivamente parte al conflitto con un’azione militare nei confronti di una loro infrastruttura e la NATO risponde che l’attacco di probabile matrice russa può essere classificato come un atto di terrorismo. Entrambi gli schieramenti cercano motivazioni ideologiche e propagandistiche per interpretare un fatto a favore della giustificazione della propria escalation militare.
In ogni caso, si assiste all’ennesimo lancio di un pezzo di cadavere in mezzo a cani affamati, per vedere chi per primo si lancerà nella mischia.
Ritorna di nuovo, come l’influenza stagionale, lo spettro di un’escalation nucleare, per quanto “portatile”. Se fin dal secondo dopoguerra l’incubo nucleare aleggiava sulle teste dei popoli di tutto il mondo, il confronto tra le due potenze, all’epoca, sembrava essere dettato da una sorta di minaccia “inattuabile”: questo a causa della potenza devastatrice che avrebbe prodotto la Mutua Distruzione Assicurata (MAD nel geniale acronimo che essi stessi si erano dati) e del fatto che, nonostante le tensioni, per decenni il capitale e l’influenza politico-militare di USA e URSS avessero ancora “spazi di conquista” in quella parte del mondo non ancora trasformata mercato. Oggi, la possibilità dell’utilizzo di armi nucleari è invece più plausibile, sia per la disponibilità di ordigni tatticamente meno letali, sia per la necessità sempre più inevitabile di strappare al nemico pezzi di un mercato oramai saturo e impossibilitato ad espandersi.

A chi sta convenendo questa guerra?

Non abbiamo, ad oggi, delle analisi approfondite sulle motivazioni che stanno portando i vari potenti della Terra a giocare ad un innalzamento della tensione, con il rischio di scatenare una nuova guerra mondiale. Certamente, da un lato esiste il problema delle sfere di influenza, in cui si inquadra il rischio per la Russia di essere circondata da paesi aderenti alla NATO, dall’altro esistono delle questioni relative alla gestione delle risorse energetiche – come il gas – , oltre al fatto che le guerre sono sempre un buon metodo per risanare le economie in crisi.

Al di là delle definizioni giuridiche del “diritto di guerra”, il conflitto in Ucraina è stato visto, anche dai più distratti o dai più ideologizzati, come un conflitto per procura tra la NATO e la Russia. I suoi sviluppi sembrano però fornire elementi per precisare gli effetti e, nel contempo, le ragioni della guerra. Una guerra scatenata dalla NATO e dalla Russia per la ridefinizione dei propri ruoli di potenze all’interno di un mondo che è cambiato e di un mercato che ha conosciuto una crisi irreversibile.
Durante il conflitto è emerso, sempre più, come Putin, anche a costo di perdere affari e influenza in Europa, abbia trovato una serie di sintonie, quando non di consensi espliciti, da parte di altre potenze emergenti e capitalismi esclusi dal “giro buono”: Cina, Iran ma anche India, Turchia e Tigri Asiatiche. Dall’altra parte del fronte, invece, i paesi europei e gli Stati Uniti si sono schierati a difesa dei valori democratici del ‘900 occidentale, rinsaldando e rinvigorendo l’Alleanza Atlantica, patto nato nel 1949 per sancire il trionfo statunitense nel mondo dopo la sconfitta della germania nazista e l’umiliazione del giappone pan-asiatico.
Entrambi gli schieramenti sembrano vivere le proprie contraddizioni e i propri limiti: la Russia non sembra trovare appoggi stabili sul piano internazionale e le altre potenze esprimono al massimo un appoggio di “cortesia”, preoccupate come sono che un cambiamento della bilancia, da qualsiasi lato penda, possa intaccare i loro piani di dominio ed egemonia. I paesi NATO, soprattutto quelli europei, sembrano accorgersi dell’inaffidabilità e dell’ipocrisia di ogni alleanza tra predoni imperialisti: la difesa di una sfera di influenza a guida americana sembra essere ad oggi pagata dai capitalismi europei, Germania in testa, che vedranno comunque un indebolimento delle proprie industrie data dalla carenza di energia, mentre gli Usa possono garantirsi una propria indipendenza.

Oltretutto, di certo, gli affari per qualcuno stanno andando molto bene. Ad esempio, molte aziende ucraine stanno spostando i loro impianti da est a ovest, accompagnando il trasferimento con il peggioramento delle condizioni lavorative, e come dimenticare il tentativo di far passare, in maggio, con la scusa della situazione emergenziale causata dall’invasione russa, una legge che eliminava sostanzialmente i diritti dei lavoratori.
Anche da parte russa ci sono aziende che stanno guadagnando da questa situazione: ad esempio, Genpro, una ditta di design con sede a Mosca, sta assumendo lavoratori a distanza in Ucraina, dove pagherebbe dei salari cinque volte inferiori. Questo nell’attesa di inserirsi nei redditizi bandi per la ricostruzione delle città.
Lo stesso sta avvenendo per le aziende statunitensi: il generale Volodymyr Havrylov, viceministro ucraino della Difesa, ha sollecitato le aziende partecipanti alla conferenza nazionale della National Defense Industrial Association Future Force Capabilities in Texas a sfruttare l’attuale guerra in Ucraina per poter testare “sul campo” nuovi prodotti bellici. Va ricordato che la maggior parte delle nuove invenzioni e delle ricerche scientifiche nascono per usi bellici, salvo essere poi riconvertite per usi civili. Di conseguenza, gli Stati Uniti possono testare satelliti, droni, armi a controllo algoritmico, sistemi missilistici, ma anche applicazioni di intelligenza artificiale senza dover impiegare i propri uomini e mezzi.
Anche in Europa, dove i proletari stanno pagando in particolar modo le conseguenze di questo conflitto, le aziende sono in attesa della tanto promessa ricostruzione.
Se anche tutto ciò non sembra sufficiente a giustificare le proporzioni del rischio che i governanti stanno scegliendo di assumersi, basta a far nuovamente notare, come abbiamo già detto, che ogni guerra è degli sfruttatori contro gli sfruttati, indipendentemente dalla loro nazionalità. Di certo, ai poveri un conflitto non conviene mai, che li chiamino vincitori o vinti.

Quando la canaglia impera, la patria degli onesti è la galera!

Fortunatamente, ci sono delle risposte, in vari luoghi, all’attacco portato avanti dai padroni contro noi schiavi.
Il 21 settembre, a seguito della contro-offensiva ucraina, Putin ha annunciato una nuova “mobilitazione parziale” della popolazione russa per supportare l’operazione speciale che l’esercito sta portando avanti in Ucraina fin da febbraio.
Ovviamente, questa notizia non è stata accolta con particolare gioia da parte di coloro che verranno chiamati a calcare i romantici campi di grano ucraini nella battaglia per la libertà: chi verrà arruolato perderà il lavoro (ufficialmente i contratti dovrebbero venire sospesi, ma è evidente che nessun padrone voglia attendere il ritorno di un potenziale milite ignoto) se gli andasse bene, un arto o la vita se gli andasse male. Da un punto di vista pragmatico, sembrerebbe più furbo provare ad evitare l’arruolamento. Nonostante questo, in molti si stanno arruolando comunque, ma in tanti hanno deciso di scendere a protestare nuovamente o di andarsene.
Infatti, dopo l’annuncio è aumentata l’emigrazione dei disertori (o di chi ha scelto di disertare nel momento in cui gli arrivasse la cartolina) verso i paesi occidentali, oltre che verso la Mongolia e gli altri paesi confinanti. Questo fatto ha messo in crisi – per circa dieci minuti – la democratica Europa: mentre per i rifugiati ucraini era stato creato un ponte umanitario privilegiato (che ha permesso di apportare alla propaganda di guerra il racconto del capitalismo occidentale interessato ai diritti umani degli sfollati delle guerre degli altri), per coloro che portano con sé un passaporto russo ci sono degli accordi che ostacolerebbero il loro ingresso nella fortezza. Che fare allora? Se queste persone sono la famosa quinta colonna, dovremmo sostenerli… Il problema ha occupato i titoli di giornali e telegiornali per circa mezza giornata. Ma, in fondo, se la caveranno ugualmente. Per quello che riguarda invece chi ha scelto di restare nel paese, si è risollevato un movimento di protesta contro la guerra, che aveva conosciuto forti difficoltà, soprattutto dal punto di vista delle azioni collettive, a causa della pesante repressione che ha affrontato. Sebbene le proteste di fine settembre non abbiano raggiunto i numeri della prima ondata, è notevole il fatto che le persone abbiano scelto di continuare a mettersi in gioco pubblicamente con la coscienza della pesante repressione che attende anche chi scende con un cartello contro la guerra. La risposta alle manifestazioni è stata brutale, ma questo non le ha fermate: ad esempio, nel villaggio di Endirei, in Dagestan, la polizia ha dovuto sparare sulla folla per riguadagnare il controllo della situazione. Oltre a ciò, in molti casi, agli arrestati o ai fermati è stata consegnata la notizia del richiamo alle armi nelle caserme di polizia.

Oltre alle proteste di piazza, in tutti questi mesi hanno continuato a susseguirsi invece azioni di sabotaggio e attacchi al potere e alle forze dell’ordine e dell’esercito portati avanti da individui o piccoli gruppi: il fatto che la protesta pacifica venisse repressa in modo così pesante ha dato ossigeno a questo tipo di atti. In particolare, ci sono stati numerosi lanci di molotov e incendi agli uffici di reclutamento e ad edifici amministrativi (almeno 37) e sabotaggi alle ferrovie.
La notte seguente l’annuncio della mobilitazione ci sono stati degli attacchi con molotov contro gli uffici di reclutamento di Nizhny Novgorod, San Pietroburgo, Kyra e Gay, e contro il comune della città di Togliatti, nei giorni seguenti ne sono seguiti molti altri.
Alcuni di questi sono portati avanti da gruppi come l’Organizzazione Anarco-Comunista Combattente, altri sono azioni individuali fatte anche da persone non politicizzate. Ad esempio, un uomo si è dato fuoco nella stazione degli autobus di Ryazan, un altro ha sparato in testa al commissario per il reclutamento della città di Ust-Ilimsk, vicino a Irkutsk, gridando che “nessuno va da nessuna parte!”.
Certamente, in Russia esiste un movimento contro la guerra, che sta incontrando notevoli difficoltà, che andrebbero studiate nell’ottica di quello che potrebbe accadere alle nostre latitudini in un prossimo futuro.
Siccome è evidente che soltanto un’insurrezione generalizzata in Russia e in Ucraina potrebbe porre fine alla guerra, si spera accompagnata da avvenimenti simili in altri paesi, abbiamo la necessità di continuare a sostenere quei proletari che si muovono contro i loro padroni, facendo lo stesso con i nostri.

Nel frattempo, anche in Ucraina lo scontento cresce e si hanno notizie delle prime proteste. Sono tuttavia proteste nate per motivi socioeconomici. Da ormai otto mesi, infatti, nel paese sembra aver avuto la meglio la teoria della lotta contro l’invasore, del fronte comune per la libertà e l’indipendenza, in cui i rivoluzionari, alleandosi con i nemici di sempre, hanno alimentato la speranza, fallace come ogni volta nella storia, di seminare i germi della rivoluzione con le armi dello Stato e nelle armate dello Stato. Non ci stupisce che in occidente, veicolati dai media di regime nella loro vomitevole propaganda di guerra, venga dato risalto agli episodi di scontento e alle mobilitazioni dall’altra parte del fronte, mentre latitano notizie delle difficoltà che sta vivendo la popolazione dell’Ucraina. Tuttavia, non è improbabile che la mancanza di notizie sia anche determinata da proteste meno forti in questo paese.

Ai primi di settembre nei sobborghi di Kiev, gli abitanti di circa 60 case sono scesi in strada dopo che l’acqua delle loro abitazioni era stata tagliata. L’azienda fornitrice era fallita per un debito di diversi milioni di grivnia. Nei fatti i dirigenti dell’azienda locale, pur continuando a riscuotere le bollette, a causa dell’indebitamento della ditta non avevano pagato i fornitori fin dalla primavera e hanno fatto fallire l’impresa. I blocchi stradali sono durati un’intera giornata e, anche se la folla è stata dispersa in serata, l’acqua è tornata nelle case l’indomani mattina.
Sempre ai primi di settembre, anche a Karkhov, si sono visti episodi di lotta economica. In questo caso i dipendenti dell’azienda municipale di trasporto pubblico hanno minacciato lo sciopero dopo che, pur avendo rischiato la vita tutti i giorni sotto i bombardamenti, il comune aveva bloccato da due mesi il pagamento degli stipendi. I salari erano comunque stati ridotti al minimo fin dall’inizio delle ostilità grazie ad uno dei primi provvedimenti di guerra del democratico Zelensky che prevedeva l’allungamento della giornata di lavoro, l’introduzione degli straordinari obbligatori e, appunto, la riduzione dei salari pubblici, non per gli alti funzionari, ai minimi contrattuali.
A Mariupol sono scoppiate delle rivolte per il cibo a causa della mancanza di arrivi di aiuti umanitari. Tra le rovine della città rimane circa la metà della popolazione, per la maggior parte senza lavoro e riscaldamento in casa. Inoltre, il fatto di avere un impiego non assicura quello di essere pagati. Ad esempio, un mese fa, i lavoratori della ditta idrica sono scesi in sciopero, e solo dopo questa iniziativa hanno iniziato a vedersi pagati i salari.
Il 25 luglio, c’è stata una rivolta nella colonia penale di Rivne: circa 75 detenuti si sono barricati nell’area delle baracche residenziali, hanno sfasciato finestre e mobilia e dato fuoco alla stanza di quarantena e alla mensa. Per anni, i detenuti della colonia sono stati trattati come schiavi per la produzione di cancelli, strutture in metallo, container e prodotti in pietra, oltre che all’interno di una sartoria: la protesta nasceva appunto contro le condizioni lavorative, con turni dalle otto del mattino a mezzanotte.

Si fa tanto schiamazzo rispetto al fatto che Putin sia Voldemort e il suo esercito i mangiamorte; quando in realtà i padroni ucraini non sono certamente diversi da tutti i guerrafondai del mondo. Se c’è una mosca bianca al massimo è perché lì nevica. Di qualsiasi colore siano, i figli della merda capitalista questo sono: vermi troppo cresciuti che hanno imparato a volare.