Luci da dietro la scena (VII)

«Contro i turchi d’Italia»

Candia [l’odierna Creta] è insorta contro il dominatore turco; la Macedonia sta per insorgere e tutta la penisola balcanica tra poco sarà in fuoco.

Che cosa dobbiamo, che cosa possiamo far noi di fronte a questi avvenimenti?

Alcuni socialisti ed alcuni anarchici si sono avviati per andare a Candia; e da ogni parte ci giunge notizia di compagni che vorrebbero partire e sono solo trattenuti dalla mancanza di mezzi.

Noi abbiamo la più profonda simpatia per questi generosi, e ci rallegriamo specialmente che i socialisti, che sogliono trattar noi da sentimentalisti e da romantici, non sono poi, alla prova dei fatti, quelle formule algebriche che vorrebbero parere, e hanno visceri d’uomo e comprendono che l’uomo vive e si agita e soffre e si entusiasma per cose che mal si spiegano colle teorie di Marx.

Ma ai compagni nostri dobbiamo pur dire quel che ci detta la nostra ragione.

I greci non vogliono esser dominati dai turchi ed hanno mille volte ragione. Essi vogliono passare sotto il dominio del re di Grecia e… possa non succedere a loro quel che è successo a certi italiani.

Ma noi, se potessimo portare aiuto efficace a quegl’insorti, dovremmo farlo in nome delle idee nostre, che abbracciano e comprendono tutte le quistioni minori; noi dovremmo lottare perché quei popoli avessero la libertà vera di scegliersi i loro destini. Ma non potremmo essere i soldati del re, non potremmo accettare anticipatamente la responsabilità di tutte le vessazioni, di cui i cretesi e gli altri saranno vittime da parte della borghesia greca e che spesso, ne siamo sicuri, faranno rimpiangere il turco.

Ora, di Candia non c’è da parlare. L’isola sta nelle mani delle truppe regie di Grecia e delle forze dell’Europa coalizzata. Il suo destino sta nelle mani della diplomazia: la costanza degl’insorti può dar occasione al re di Grecia di tener duro ed ottenere l’annessione; ma l’intervento, se pur sarà permesso, di pochi volontari stranieri non può essere di peso alcuno. L’eroismo dei nostri compagni sarebbe certamente inutile, e potrebbe anche essere un eroismo a buon mercato, riducendosi ad un semplice viaggio di diporto.

Dove si dovrebbero oggi dirigere i volontari sarebbe in Macedonia e nell’Epiro.

Ma bisognerebbe potervi andare in numero e forza tali da poter avere una politica propria. Altrimenti, in pochi, mescolati alle bande greche, senza sapere la lingua, noi dovremmo non solo far gli affari del re di Grecia, ma anche assistere impotenti agl’immancabili massacri dei contadini turchi; poiché, non bisogna dimenticarlo, là, oltre l’odio contro l’oppressore che sentiamo noi pure, vi è l’odio di razza e di religione, col quale noi non abbiamo nulla da fare.

Ci dicano i nostri amici; se si trattasse di andare a liberare Trieste, andrebbero essi quando non avessero altro modo di farlo che arrolandosi sotto il re, o sotto Imbriani [ex-garibaldino e deputato, acceso fautore delle «terre irredente», termine da lui stesso coniato nel 1877]?

Posto quel che abbiamo detto, ci pare che nelle condizioni reali, nostre e di laggiù, non possiamo far altro.

Consoliamocene. Abbiamo tanto da fare, se vogliamo, contro i turchi d’Italia!

Errico Malatesta, «Pro Candia», “L’Agitazione”, n. 1, 14 marzo 1897

Fra due mali

Fra due mali equivalenti io non ne scelgo alcuno. Ed al Sandomirsky, il quale insisteva perché io gli dicessi se avrei preferito al governo bolscevico un governo democratico, o sedicente tale, risposi che se mi trovassi nella posizione di dover scegliere tra la forca o la ghigliottina io sceglierei… la vita, e la libertà; e se non potessi proprio fare altrimenti mi lascerei trascinare al supplizio, ma non darei mai il mio consenso.

Il che è poi la condotta che tennero gli anarchici, d’accordo in questo colla maggioranza dei socialisti italiani e russi, di fronte alla guerra mondiale. Dovendo scegliere tra l’imperialismo tedesco a quello dell’Intesa, tra il capitalismo germano-austriaco e quello anglo-francese, essi si rifiutarono a prendere partito, combatterono come poterono, non fosse altro che coll’astensione, tutti gl’imperialismi e tutti i capitalismi, e salvarono così l’avvenire impedendo che anarchismo e socialismo perissero ignominiosamente.

Del resto, avversario come sono del regime parlamentare e democratico, non trovo perciò meno assurdo il voler difendere la tirannia coll’addurre che la libertà di altri regimi è una menzogna. Io so, gli anarchici tutti sanno, che la libertà e le garanzie costituzionali valgono pochissimo per tutti e niente affatto pei poveri. Ma non vorrei per questo erigermi a difensore del governo assoluto. Io so, per esempio, gli orrori che si commettono nelle questure e nelle caserme d’Italia, so tutta l’infamia dei vigenti metodi d’istruttoria penale, ma non vorrei per questo il ristabilimento ufficiale della tortura e le esecuzioni senza processo, come d’altra parte non vorrei scusare e sopportare le infamie che si commettono in Italia colla scusa che in Russia se ne commettono delle eguali e peggiori.

Che avrebbe detto Sandomirsky dell’impudenza dello zar, se questi si fosse servito degli argomenti di Kropotkin contro il regime costituzionale per difendere la sua autocrazia?

E trovo poi molto equivoco e pericoloso quel che dice Sandomirsky, appoggiandosi su Monmousseau, che “quando si è posti in posizione di dover scegliere tra una dottrina e la rivoluzione bisogna dimenticare la dottrina”. In questo caso dottrina non può significare che il programma, lo scopo per il quale si vuole la rivoluzione, ed abbandonare il proprio programma nel momento più favorevole per tentarne la realizzazione significa veramente mettersi ai servizi di chiunque sia riuscito a dominare e sfruttare la rivoluzione. È ancora il vecchio inganno della “realtà storica” con cui ci si voleva indurre ad appoggiare la guerra! La missione nostra invece è quella di combattere tutte le realtà che ci sembrano cattive. Non importa se esse si chiamino rivoluzionarie e siano il prodotto di un cataclisma sociale. La Rivoluzione non è per noi una entità astratta, una Dea, a cui rendiamo culto. Vi possono essere delle rivoluzioni buone e delle rivoluzioni cattive, delle rivoluzioni che spingono in avanti verso la giustizia e la libertà e delle rivoluzioni che sono un ritorno verso il passato di tenebre e di oppressione. Noi vogliamo il diritto di scegliere con criteri che ci suggerisce il nostro programma.

Errico Malatesta, Un anarchico alle prese con se stesso, “Umanità nova”, n. 105, 4 maggio 1922

Non passeranno vent’anni

Sembrava che i governi europei avessero infine capito che nel loro stesso interesse, nell’interesse stesso della conservazione borghese, occorreva ristabilire la pace in Europa facendo alla Germania delle condizioni possibili e ristabilendo dei rapporti regolari con la Russia.

Ma a questa politica di moderazione, che è ormai riconosciuta necessaria dalla gran maggioranza dei borghesi di tutti i paesi, si oppongono, e con successo, gl’imperialisti di Francia.

In parte per orgoglio militaristico e per sordida avidità ed in parte per abbietta paura della rivincita tedesca essi insistono nel proposito di schiacciare la Germania in modo che essa sia per lunga serie di anni condannata a lavorare per i francesi ed altri sfruttatori forestieri senza possibilità di risurrezione.

In realtà, a parte ogni questione di giustizia e di solidarietà umana, mettendosi anche solo dal punto di vista degli interessi esclusivi della borghesia francese, il calcolo è sbagliato. La miseria e la rovina della Germania produce necessariamente miseria e rovina in tutta Europa, Francia compresa. E l’idea, vagheggiata dai patrioti francesi che la Francia, paese di 40 milioni di abitanti, a popolazione fissa o decrescente, possa tenere perennemente, o anche solo per lungo tempo, in schiavitù un popolo di settanta milioni di uomini, intelligenti, abili, attivi, che aumentano rapidamente di numero e che han coscienza di non essere inferiori ad alcuno ed anzi si credono superiori, è un’idea aberrante che può mettere radice solo nella mente di soldatacci idioti o di “patrioti” ubbriacati dallo stupido orgoglio nazionale.

Se il popolo francese non saprà liberarsi dei suoi Millerand, Poincaré, Clemenceau, Tardieu su cui pesa tanta parte della responsabilità dell’ultima guerra e che stanno stupidamente la guerra prossima; se la rivoluzione purificatrice non verrà a rinnovare il mondo e stabilire tra le genti rapporti di giustizia e di fratellanza, non passeranno vent’anni – noi ne siamo fermamente convinti – senza che i tedeschi entreranno a Parigi, alleati forse con l’Italia, per vendicarsi di tutte le indegnità a cui sono oggi sottomessi e fare ai francesi, poiché tutti i militarismi si equivalgono, quello che oggi i francesi fanno a loro.

[…]

A Cannes, come in tutte le riunioni diplomatiche passate e come in quelle future, a cui assisterà anche Lenin o chi per lui, non si trattano che interessi borghesi. È la lotta tra la massa della borghesia, piccola, media ed anche grande, che ha bisogno di sicurezza per poter tranquillamente sfruttare i lavoratori, ed un piccolo numero di grossi pescecani della finanza e dell’industria guerresca che non esiterebbero a mandare il mondo in rovina.

La lotta tra pacifisti e guerraiuoli, è guerra tra borghesi, ed i proletari potrebbero guardarla anche con indifferenza, poiché gli uni e gli altri vogliono sfruttarli egualmente.

Ma v’è di mezzo la guerra, nella quale i proletari sarebbero costretti a versare il proprio sangue; v’è la guerra che rimbambisce e spinge indietro la civiltà ed è fonte di sempre nuovi odii e nuovi disastri.

Stieno vigili dunque i proletari. Sono essi soli che possono impedire una nuova guerra facendo comprendere ai governanti che questa volta essi non si farebbero più ingannare dai loro cattivi pastori, ed al decreto di mobilitazione risponderebbero con l’insurrezione… senza aspettare gli ordini degli “organi competenti”.

Errico Malatesta [articolo non firmato], La nuova crisi, “Umanità nova”, n. 12, 14 gennaio 1922

La guerra in francobollo

A parte lo squallore grafico (che non è una novità: abbiamo i francobolli più brutti del mondo), la serie dalle nostre Poste nell’aprile ’95 per il cinquantenario della fine della guerra si segnala per una protervia mistificatoria al di là dell’incredibile. Ne esce un quadro storico surreale, se non fosse anzitutto indecente. Già il titolo generico – «Avvenimenti della 2° guerra mondiale» – evita di precisare che l’oggetto è la nostra partecipazione al conflitto. Precisazione tanto ovvia da risultare superflua, basterebbero i fatti a parlare. Ma, per l’appunto, i fatti (gli “avvenimenti”) sono scelti e illustrati, in modo tale da legittimare il sospetto che quella reticenza non sia casuale.

Non uno dei nove pezzi che compongono la serie sembra anche solo alludere al fatto che nella Seconda guerra mondiale l’Italia entrò di propria volontà, da paese aggressore, a fianco della Germania e del Giappone, contro la Francia e la Gran Bretagna, e successivamente Grecia, Urss, Stati Uniti, combattendo fino all’8 settembre 1943. Guerra voluta dal fascismo, ma il fascismo era da quasi vent’anni il governo legittimo del paese, e anche l’entrata in guerra, come già la soppressione delle libertà, la persecuzione degli oppositori, l’impresa etiopica, l’intervento in Spagna, le leggi razziali ecc., tutto era avvenuto col pieno consenso della corona, dell’esercito, della grande industria, della burocrazia, della cultura, della Chiesa, insomma dei poteri forti e delle classi dominanti.

Di una guerra combattuta per oltre tre anni e che impegnò durissimamente le nostre forze armate in Grecia, Africa, Russia, Mediterraneo e infine sul suolo italiano, si potevano, si dovevano ricordare l’Amba Alagi, Tobruk, il Don, Capo Matapan, El Almein… Macché. Per le forze di terra, c’è la battaglia di Monte Lungo che, come quasi nessuno sa, fu combattuta nel dicembre ’43 da reparti del minuscolo esercito ricostituito nel Regno del Sud e schierato a fianco degli anglo-americani contro i tedeschi. Insomma, il nostro esercito fa la sua prima e ultima apparizione a quasi quattro anni dall’inizio delle ostilità, e ad alleanze capovolte. Paradossale escamotage, che tuttavia resta implicito. A evitare imbarazzi, si omette la data. Per di più l’immagine, che mostra alcuni soldati che muovono all’assalto su un’erta rocciosa, non consente assolutamente di capire a quale esercito appartengano né chi sia il nemico.

Aviazione. Si vedono tre aerei da cui non piovono bombe ma paracadute recanti, si immagina, maglie di lana, vettovaglie e altri generi di conforto. Potrebbe essere perfino una missione umanitaria. Il disegno sembra ricalcare un documento fotografico di nostri aerei che dopo l’armistizio soccorrono reparti dell’esercito italiano scampati ai tedeschi e passati alla resistenza iugoslava. Se ne dovrebbe arguire, pur in assenza di date e di altri segni certi, che per gli ideatori della serie filatelica anche la nostra aviazione, come già le forze di terra, sia entrata in azione non il 10 giugno ’40 ma dopo l’8 settembre ’43, quando più di tre anni di guerra l’avevano praticamente annientata. Della nostra marina, si sa che il suo principale teatro d’operazione, nonché la sua tomba, fu il Mediterraneo. S’è preferito dirottarla prudentemente sull’Atlantico, mostrando due incrociatori leggeri in tranquilla crociera su un pacifico mare azzurro…

[…]

Due volti, con nome e cognome, finalmente: Mafalda di Savoia e Teresa Gullace. Ma proprio perché i meno generici, i due pezzi sono anche i più rivelatori della goffaggine e dell’impudenza ideologica che informano l’operazione. Con tutto il rispetto per la sfortunata principessa, che per dare un volto a milioni di vittime innocenti nei campi di concentramento sia sia scelto un’appartenente a casa Savoia, alleata e complice degli assassini, è rivoltante. Quanto a Teresa Gullace, credo che ben pochi sappiano che è la donna la cui vicenda ispirò la figura interpretata da Anna Magnani in Roma città aperta. E tuttavia, per far scattare il riconoscimento, sarebbe bastato che l’immagine conservasse una minima particella, un’ombra della violenza, dell’altissima drammaticità della sequenza filmica che ha commosso e che tuttora commuove centinaia di milioni di spettatori in tutto il mondo. Sentimenti cui risulta eccezionalmente refrattario/a l’“artista” che si firma A.M Maresca, autore o autrice dei due pezzi precedenti (gli altri autori: M.M Tuccelli, C. Bruscaglia, A. Ciaburro, P.N. Arghittu). C’è una donna, vista di schiena, che si dirige verso un camion. Non corre, procede al passo. Il camion non ha alcun contrassegno, potrebbe essere qualunque automezzo che trasporta merce. E, va da sé, non c’è alcun soldato tedesco che spari sulla donna.

C’è stata davvero una Seconda guerra mondiale? E combattuta tra quali nazioni? Chi ha vinto, chi ha perduto? Vi ha partecipato anche l’Italia? Da quale parte? Con qualche conseguenza? Quali?

A parte lo squallore grafico…” dicevo all’inizio. Ma lo squallore grafico fa tutt’uno con la misera cultura, politica, morale che ispira la serie. Vi è connaturato. Insomma, una qualunque qualità di segno grafico conterrebbe inevitabilmente una certa quota di pensiero (magari discutibile, sbagliato), ma pur sempre un pensiero. Siamo molto al di sotto delle peggiori diatribe e falsificazioni storiche che si sono susseguite lungo gli ultimi cinquant’anni. Il senso profondo di tutta la sequenza è (vuole essere) uno solo: non è successo niente.

Piergiorgio Bellocchio, Al di sotto della mischia. Satire e saggi, Scheiwiller, Milano, 2007