Taranto e Ferrara due giorni di fermi e perquisizioni

Riceviamo e diffondiamo questi due testi pervenuteci nelle ultime ore riguardo a fermi e perquisizioni fatte a compagne e compagni:

 

Fermo e perquisizione a Ferrara

Vogliamo raccontare un episodio di ordinaria repressione, avvenuto a Ferrara un paio di giorni fa, in cui un semplice controllo di documenti nei confronti di tre compagnx si è tramutato in una giornata in caserma e una perquisizione domiciliare per 41 tulps. Esempio significativo del clima che si respira in questi tempi di sempre maggiore restrizione della libertà e in cui ogni indizio di ribellione subisce pesanti ripercussioni.

Nella mattinata di sabato 30 gennaio, il giorno prima di un presidio di solidarietà in programma al carcere di Ferrara, due compagne e unx compagnx vengono fermatx da una pattuglia dei carabinieri in un controllo apparentemente casuale, mentre si trovano a una fermata dell’autobus nei pressi dello stesso carcere. Il controllo dei documenti a cui segue una chiamata in caserma porta immediatamente a una perquisizione dell’auto dellx tre, che si trova parcheggiata lì vicino, e che i carabinieri hanno già identificato. Le domande dei carabinieri rispetto a cosa ci facciano in quel posto, e le loro supposizioni sul fatto che sanno benissimo che si trovano lì per qualche motivo inerente il presidio al carcere del giorno successivo, rimangono senza risposta.

Nell’auto, in mezzo a cianfrusaglie varie, vengono rinvenute quattro bombolette spray, dei manifesti, libri, un manico di martello e un ramo secco di bosco; il manico di legno e il fuscello, che diventa magicamente un “bastone” di 70 centimetri, vengono considerati come armi e sequestrati, per il loro possesso scatterà una denuncia ai danni di una di noi.

A rafforzare il fermo in strada arrivano poi in pompa magna una seconda e una terza auto dei carabinieri, il maresciallo e infine una macchina della digos. Le due compagne e lx compagnx vengono scortati in auto fino in caserma per ulteriori accertamenti. La loro auto rimarrà parcheggiata per ore nel cortile della caserma, fuori dalla loro vista, con un via vai sospetto di tecnici con borse e guanti che fanno avanti e indietro tra l’edificio della caserma e il luogo dove è parcheggiata l’auto.

A inframmezzare le snervanti e infinite ore di attesa per ricevere i verbali, subiscono anche una superficiale perquisizione personale. Dopo alcune ore, viene loro comunicato che devono seguire carabinieri e digos per una perquisizione nella casa dove una di loro è residente e in cui lx altrx due hanno comunicato di essere domiciliatx. Non avendo un’autorizzazione del giudice, il solito appiglio è l’articolo 41 tulps, che giustifica una perquisizione al volo per la ricerca di armi ed esplosivi. Vengono fattx salire su tre auto di carabinieri e digos e portatx alla casa dove questi procederanno alla perquisizione, interessati effettivamente solo a trovare armi ed esplosivi (forse eventuali petardi per il presidio). Non verranno toccati né computer e materiali informatici né materiale scritto di propaganda, e la perquisizione si concluderà con esito negativo. Dopo un’altra lunga attesa in caserma per ricevere anche questi altri verbali, verranno finalmente rilasciatx dopo oltre sei ore di fermo. Da notare il filo diretto tra gli uffici della digos e il quotidiano locale Estense.com, che immediatamente dopo l’uscita dalla caserma aveva già pubblicato online la notizia (distorta) di quanto accaduto.

Il presidio di domenica 31 gennaio sotto al carcere di Ferrara si inserisce in una mobilitazione più generale contro le carceri per denunciare il massacro di Stato avvenuto a marzo 2020 che ha portato alla morte di 14 detenuti durante le rivolte, con una particolare attenzione rispetto a quanto accaduto nel carcere di Modena. Come già raccontato altrove, cinque detenuti che hanno presentato un esposto dei pestaggi e degli spari avvenuti in quella circostanza, e quindi delle responsabilità dei carcerieri nella morte dei detenuti, hanno subite varie ripercussioni tra cui il trasferimento in diverse carceri, e uno di loro si trova attualmente rinchiuso a Ferrara.

Due settimane fa, per la prima volta in Italia, un secondino di questo carcere è stato condannato da un tribunale per torture nei confronti di un detenuto, fatto spogliare e picchiato ripetutamente. Non crediamo nella giustizia di Stato, per cui crediamo che questo fatto estremamente raro (in cui lo Stato arriva a condannare sé stesso) non sia altro che la punta dell’iceberg di quella che sappiamo essere una prassi decisamente comune nei lager di Stato, in cui alla già odiosa privazione della libertà personale vanno ad aggiungersi spesso pestaggi e soprusi da parte delle guardie.

Quanto abbiamo appena raccontato, l’accanimento di un fermo di polizia durato ore con annessa perquisizione domiciliare, conseguenza che appare decisamente sproporzionata rispetto ai fatti contestati (la semplice presenza nei pressi di un carcere e il ritrovamento in auto di due “bastoni”), ci appare il riflesso in piccolo della repressione spietata che da mesi stanno vivendo le persone che hanno osato alzare la testa e ribellarsi la scorsa primavera. A quanto pare se dà già parecchio fastidio che ci sia chi continua a protestare e far sentire la propria voce in maniera solidale nonostante le restrizioni e i divieti di assembramento, dà ancora più fastidio che si dica una semplice verità, ovvero che LO STATO UCCIDE, nelle carceri così come nelle caserme, nei centri di detenzione per migranti, nelle strade e in mare.

Quanto accaduto ci sembra anche il riflesso di un inasprimento repressivo più generale cui stiamo assistendo, in cui sempre più ogni occasione e minima infrazione alle regole vengono sfruttate dai nostri nemici contro di noi, per indagarci, rimpolpare il nostro profilo “criminale” e provare a intimidirci.

Ribadiamo che questi tentativi non ci spaventano e non ci faranno desistere dal continuare a contrastare questo sistema assassino e i loro servi in divisa che lo difendono.

Contro ogni prigione e gabbia che imprigionano lo spirito di libertà.

 

Taranto: Racconto di una giornata di lotta e solidarietà

Domenica 31 Gennaio ci siamo ritrovati presso la Masseria Autogestita Foresta di Crispiano per un ricco e allegro pranzo benefit in solidarietà ai prigionieri anarchici, insieme a chi, come noi, è stufo di obbedire alle scellerate e confusionarie imposizioni governative messe in atto per “contrastare” l’emergenza Covid.

Al termine del pranzo, incoraggiato anche dalla comparsa di alcuni raggi di sole, un piccolo ma grintoso gruppo di nemici e nemiche delle galere ha deciso di agevolare il processo digestivo con una breve passeggiata sotto le mura del carcere di Taranto per portare un rumoroso e calorosissimo saluto ai detenuti e alle detenute.

Nonostante i numeri e la posizione non proprio favorevole siamo riusciti a pieno nell’intento di farci sentire. Anche se solo per una manciata di minuti le nostre urla hanno scavalcato facilmente quelle mura infami, facendo breccia nella monotonia e nella tristezza della non-vita carceraria di chi si trova a subire la vendetta dello Stato perpetrata attraverso la reclusione. In risposta alla nostra presenza all’esterno di quel posto di merda abbiamo sentito chiaramente e sin da subito tanti sonori fischi e qualche urla.

Attraverso l’eco del megafono abbiamo provato a spiegare a chi ci stava ascoltando le ragioni dell’iniziativa, nata dal nostro amore per la libertà e dal nostro odio viscerale verso quelle gabbie, verso i torturatori in divisa che hanno scelto di conservarne le chiavi e verso chiunque, con il proprio misero lavoro, alimenti l’esistenza di carceri, lager per migranti e frontiere.

Sono stati ricordati i quattordici detenuti ammazzati dagli sbirri durante le rivolte scoppiate a Marzo e si è detto della settimana di mobilitazione, lanciata dal 31 Gennaio al 7 Febbraio, in solidarietà ai cinque detenuti che non sono rimasti in silenzio di fronte all’omicidio di Sasà Piscitelli, trovando il coraggio di portare alla luce le torture dei secondini, nonostante la consapevolezza di dover affrontare gravi ripercussioni.

Tutto è filato liscio fino a quando, terminato il saluto, siamo stati braccati sulla via del ritorno da un numero spropositato di digossini, rimasti fino ad allora a guardare. Dopo un po’ di “tarantelle”, forti della netta superiorità numerica e dell’arrivo delle pattuglie pronte a portarci in questura, gli sbirri sono riusciti ad identificarci per poi lasciarci andare, per il momento senza conseguenze.

Nonostante questo piccolo inconveniente non sentiamo di essere vittime di alcun che. Avendo scelto di schierarci dalla parte degli oppressi sappiamo bene a cosa possiamo andare incontro, ma abbiamo ritenuto importante raccontare anche questo episodio a dimostrazione del fatto che soprattutto in questo momento porre una critica radicale all’istituzione carceraria o portare solidarietà a chi è prigioniero dello Stato può essere molto fastidioso. Proprio per questo pensiamo che sia quanto mai necessario continuare a farlo.

(Considerazioni a margine)

Abbiamo ritenuto importante raccontare questa splendida giornata di lotta nata dalla determinazione di un gruppo di nemici e nemiche delle galere perché pensiamo possa essere anche di incoraggiamento per chi, in questo momento, si trova a fare i conti con l’impasse dettata anche dalla reale disgregazione sociale e di conseguenza dei numeri esigui di persone affini con cui condividere un percorso di lotta,così come dalla paura (umana e comprensibile) di dover affrontare dei “dispositivi” repressivi che in realtà sono molto più piccoli e meno capillari ed aggressivi di quanto realmente appaiono attraverso la disinformazione dei media di regime.

Provare a condividere la nostra gioia e le nostre emozioni attraverso questo racconto vuol dire per noi essere altresì testimonianza diretta di ciò che, dopo una battuta di arresto, ha ricominciato a muoversi in un luogo devastato dall’industria siderurgica e dalla presenza asfissiante di Marina Militare e NATO e pacificato dal ricatto occupazionale.

– Nemici e nemiche delle galere –